martedì 27 dicembre 2011

LA PRIMA NUOVA PARTICELLA DI LHC

LA PRIMA NUOVA PARTICELLA DI LHC:

Esperimento ATLASA pochi giorni dall’annuncio di primi possibili indizi del bosone di Higgs, l’analisi dei dati raccolti dagli esperimenti di LHC comincia a portare anche altri frutti. Alcuni ricercatori dell’esperimento ATLAS hanno infatti annunciato la scoperta sperimentale di una nuova particella, la prima di LHC. E’ una particella composta da un un tipo di quark (beauty) e dal suo antiquark ed è chiamata Chi_b (3P). Prevista da molti modelli teorici questa particella fino ad oggi non era mai stata osservata. Fa parte della famiglia dei mesoni: particelle composte da un quark e dal corrispondente antiquark decadono in tempi infinitesimi, una volta prodotte nelle collisioni ad alta energia dei protoni. “Il loro studio può aiutarci a comprendere meglio la forza forte, - ha dichiarato James Walder, dell’Università di Birmingham - che è la forza fondamentale che lega i quark nei protoni e nei neutroni e consente a questi ultimi di formare i nuclei atomici. Questa scoperta comunque è senz' altro la prima di molte altre che seguiranno dall’analisi della impressionante quantità di dati prodotta quest’ anno da LHC.”

martedì 13 dicembre 2011

Trovata una traccia del bosone di Higgs. Ma non è una "scoperta"

Trovata una traccia del bosone di Higgs. Ma non è una "scoperta":

Annunciati al CERN di Ginevra i dati degli esperimenti ATLAS e CMS: la massa della "particella di Dio" sarebbe di 126 GeV, ma il livello di confidenza della misurazione non ...

venerdì 9 dicembre 2011

Il bosone di Higgs alla stretta finale?

Il bosone di Higgs alla stretta finale?:


Secondo insistenti indiscrezioni, il Large Hadron Collider avrebbe trovato le prove della sfuggente "particella di Dio", la cui massa si aggirerebbe sui 125 GeV, nell'ambito ...

Sta per chiudersi la caccia al bosone di Higgs

Sta per chiudersi la caccia al bosone di Higgs:


Lo spettro di energie al cui interno potrebbe ancora nascondersi è ormai molto esiguo e l'annuncio di una parola definitiva sull'esistenza della particella che dà conto ...

giovedì 8 dicembre 2011

Sempre più difficile la caccia al bosone di Higgs

Sempre più difficile la caccia al bosone di Higgs:


La ricerca continua con margini sempre minori, e solo una riduzione delle incertezze sperimentali potrà dare indicazioni ulteriori sull’esistenza - o la non esistenza - della ...

martedì 6 dicembre 2011

Nuovi limiti alla massa delle particelle di materia oscura

Nuovi limiti alla massa delle particelle di materia oscura:


Due nuovi studi indicano che dovrebbe essere superiore a 40 GeV, altrimenti l'universo non potrebbe espandersi con l'accelerazione osservata. Questi dati, basati su osservazioni del Fermi ...

lunedì 5 dicembre 2011

Un Higgs o forse no

Un Higgs o forse no:

Tra poco più di una settimana, in un seminario pubblico al CERN, Fabiola Gianotti dell’esperimento ATLAS e Guido Tonelli di CMS ci aggiorneranno sulle novità nella ricerca del bosone di Higgs al Large Hadron Collider (LHC). Come al solito, come ormai avrete capito se avete seguito la vicenda dei neutrini superluminali, prima delle dichiarazioni ufficiali cominciano a filtrare notizie, indiscrezioni e commenti che una piccola porzione di verità la contengono sempre. Quando non c’era il web il gossip rimaneva confinato nei corridoi dei laboratori di ricerca o delle Università, magari finiva su qualche giornale che non leggeva nessuno, ora un blog o un social network offrono occasioni troppo ghiotte per non essere sfruttate.


Quello che si dice in giro è che ci sono segnali di un Higgs con una massa attorno ai 125 GeV (vi ricordo che in fisica delle particelle l’elettronvolt, unità di misura dell’energia, è usato per misurare la massa delle particelle elementari e che 1 GeV corrisponde ad 1 miliardo di elettronvolt ovvero circa 0.16 miliardesimi di Joule). Se questa voce venisse confermata – e non è detto – parecchia gente, soprattutto i Teorici, verrebbe presa in contropiede perché fino a qualche giorno fa pochi avrebbero puntato qualche spicciolo su un valore di massa del genere, perché se l’Higgs c’è e la massa è quella, bisognerà rimboccarsi le maniche e cominciare a riscrivere un po’ di Fisica o quantomeno tirar fuori dai cassetti molte teorie e speculazioni fino ad oggi considerate “esotiche”.

Già a Luglio di quest’anno si era vociferato di qualcosa che faceva capolino a 140 GeV ma una seconda serie di misure non aveva poi confermato le attese. Dunque pazienza e cerchiamo di capire qual è lo stato dell’arte.





Dove potrebbe trovarsi l’Higgs? La situazione a Marzo 2011



Quello che intendo fare è accompagnarvi fino al giorno del seminario con il racconto di cosa si nasconde dietro lo strano mondo immaginato e misurato dai fisici, per quale ragione nasca l’esigenza di catturare l’Higgs dal groviglio di particelle ed interazioni di cui tale mondo è costituito. Sulle misure e sulla loro interpretazione è per me difficile aggiungere qualcosa di più e di meglio rispetto a quello che sta scrivendo Marco Delmastro, che su queste cose ci lavora e le sa raccontare. Dunque, andate a fargli visita, soprattutto qua dove vi spiega le curve esclusione per il bosone di Higgs ottenute combinando i dati di ATLAS e CMS. Aspettate però, fatelo ma non prima di aver letto quello che ho da dirvi.


La questione delle questioni, quella che dobbiamo assolutamente affrontare per riuscire a capire da dove spunta fuori l’Higgs, è la natura del vuoto che, in fisica quantistica, non è privo di struttura ma è pieno di campi che fluttuano, è elettricamente neutro e stabile ma ricco di entità virtuali, ad esempio coppie di particelle di carica opposta che zampillano e vengono riassorbite con continuità, con il principio di indeterminazione di Heisenberg a dirigere il traffico. Nello stato di energia minima, nel vuoto, sono dunque sempre presenti fluttuazioni di contenuto energetico diverso da zero, come in una pentola d’acqua poco prima dell’ebollizione. L’eccitazione più elementare del vuoto – una volta che l’acqua si mette a bollire, insomma – è quella che mette in scena il quanto del campo e così come il fotone è il quanto del campo elettromagnetico, elettroni e positroni sono i quanti del campo di Dirac. Solo dopo aver capito come è fatto il vuoto si può cominciare a costruire una teoria che descriva le proprietà dinamiche fondamentali di un sistema. Così è stato per l’Elettrodinamica Quantistica, così per il Modello Standard.


Come fare? In tanti modi per la verità ma c’è uno strumento di conoscenza molto potente: la simmetria. Un “oggetto” (una bottiglia, una molecola, una particella elementare, un pianeta o l’intero universo) possiede una certa simmetria quando le sue proprietà, dopo una trasformazione che abbiamo operato su di esso, sono indistinguibili da quelle che aveva prima. Se ruotate un bicchiere da whisky attorno al proprio asse, che sia riempito o meno con un liquido non ha importanza, il suo aspetto sarà sempre lo stesso, il bicchiere cioè non varia ai nostri occhi rispetto a tale trasformazione. Nel caso di un boccale di birra, provvisto di manico, non sarà più così e saremo in grado di percepire l’effetto della trasformazione. Questi concetti assumono grande rilevanza in fisica perché l’invarianza sotto una certa trasformazione presuppone che determinate quantità non siano osservabili e ciò comporta una legge di conservazione (o una regola di selezione). Per esempio, l’assunzione che una direzione assoluta nello spazio non sia osservabile (l’isotropia dello spazio) implica un invarianza per trasformazioni che ruotano il sistema e ciò porta alla conservazione del momento angolare.


La faccenda assume un carattere ancor più intrigante (almeno spero) quando proviamo a trasferire questi concetti al mondo delle particelle elementari. Esistono famiglie di particelle, come ad esempio il protone ed il neutrone nel nucleo, che si mescolano indissolubilmente lasciando la loro interazione invariata e possiamo provare a decifrare questo mondo cercando di individuare famiglie e sottofamiglie sulla base delle caratteristiche delle loro interazioni, interazioni costruite proprio a partire dalla simmetria (intercambiabilità) fra particelle. La simmetria serve quindi a costruire qualcosa che sia molto più di una mera classificazione, impone per esempio ad un oggetto fisico provvisto di carica elettrica come il campo di Dirac degli elettroni di interagire con un altro campo: il campo elettromagnetico. La trasformazione in gioco in questo processo è detta di gauge (di calibro) ed assume ora lo status di Principio, diventa una guida alla costruzione di una delle teorie fondamentali del mondo delle particelle: l’elettrodinamica quantistica. Non è semplice visualizzarla questa trasformazione, potete provare ad immaginare tanti bicchieri da whisky, più o meno pieni, sistemati uno accanto all’altro su un tavolo e che ruotano tutti assieme, ma ognuno di un angolo diverso. Qualunque sia la rotazione, l’immagine che infine vedremo sarà indistinguibile da quella di partenza.


Fin qui è tutto abbastanza tranquillo (chiaro non so) ma se si prova ad estendere e generalizzare la simmetria di gauge dell’elettrodinamica alle altre interazioni fondamentali nasce un problema perché tale simmetria è compatibile solo con la presenza di un campo di massa nulla, il fotone appunto. Se proviamo ad applicare il Principio di gauge alle interazioni deboli, l’analogo debole dei fotoni (i bosoni vettoriali intermedi) dovrebbero essere a loro volta privi di massa. Poiché sappiamo che non è così, son stati trovati – Rubbia ci ha preso un Nobel – e pesano parecchio, la via attraverso la quale un campo di gauge può acquistare una massa diventa uno dei problemi fondamentali da risolvere. E’ qui che entra in gioco il vuoto ed è questo il motivo per il quale la prossima volta vi parlerò di un asino.


Su Focus.it, guarda anche il multimedia sul bosone di Higgs.



giovedì 1 dicembre 2011

Buon compleanno AdA

Buon compleanno AdA:

AdA: “Anello di Accumulazione”: questo acronimo compare 51 anni fa nei Laboratori Nazionali di Frascati (ora dell’INFN) come idea per superare i limiti degli acceleratori esistenti e produrre reazioni in cui si spende molta energia per traformarla in particelle nuove.



In un seminario, Bruno Touschek, un collega austriaco di eccezionale creatività, importato da un lungimirante Edoardo Amaldi all’università di Roma dopo una vita travagliata dalla guerra e dall’antisemitismo, lancia l‘idea di accelerare elettroni contro antielettroni (positroni, per sottolineare la carica elettrica positiva) e di produrre così particelle create nel vuoto dall’altissima densità dell’energia di annichilazione. Una scommessa ai limiti del credibile nel 1960; ma, contro l’incredulità di molti, ci proviamo e ci riusciamo, accumulando fasci di elettroni e positroni in un piccolo anello magnetico, prototipo di quelli che verranno. È AdA, che incomincia a dare segni di fattibilità nel 1961: è un esperimento più che una macchina. Ma apre la strada alle macchine “professionali” che piacciono agli ingegneri: ACO a Orsay (Parigi), VEPP 2 a Novosibirsk e poi Adone a Frascati, Spear a Stanford, Doris ad Hamburg, fino al LEP di Ginevra. Anelli ovunque e tecnologie di primo ordine, nonché risultati sulla “eccitabilità del vuoto” come diceva Touschek quando eravamo in quattro (per raddoppiare di lì a poco con altri frascatani e con i francesi di Orsay).



AdA ha accumulato per ore elettroni e positroni in un vuoto prodigioso che i Laboratori di Frascati avevano imparato a ottenere con pompe fatte in casa. Se mai l’Italia ha avuto il bene e il piacere di mostrare che “volendo per buoni motivi, si può fare”, è stato nel 1961; quando i capi, Edoardo Amaldi, Giorgio Salvini e Felice Ippolito avevano il coraggio di fidarsi dei giovani e dare loro sostegno e mezzi per affrontare il nuovo snza precedenti. Non è nostalgia, è il senso di privazione che si vive oggi, “indignados” da altri modi di godere la vita.

lunedì 28 novembre 2011

La mia grossa grassa materia oscura

La mia grossa grassa materia oscura:
Fornita una stima per la massa minima delle particelle invisibili
di Tobia Dondé
Non sappiamo che cos’è, ma c’è. E ce n’è tanta. Non sappiamo misurarla, ma pesa. E pesa tanto. Lo accerta una coppia di fisici della Brown University, Savvas Koushiappas e Alex Geringer-Sameth, in un articolo che uscirà a breve su “Physical Review Letters”: le particelle di materia oscura sono assai più massicce di quanto si credeva finora.


E' solo una simulazione, di solito la materia oscura non si fa vedere. (Cortesia: Max Planck Institute for Astrophysics)



Non stiamo parlando di bazzecole: siamo nell’ordine dei 40 GigaelettronVolt (GeV), più di 40 volte il peso di un protone. E la cosa sconcertante è che nessuna particella di materia oscura può avere massa inferiore a questa soglia. Precedenti illustri collaborazioni, come DAMA/LIBRA, CoGeNT e CRESST, avevano ottenuto, tramite esperimenti di laboratorio, una stima nell’ordine di 7-12 GeV. Le osservazioni dei due fisici della Brown sembrano smentire tutto ciò. “Se la massa di una particella di materia oscura fosse minore di 40 GeV”, afferma Koushiappas, “la sua quantità nell’universo sarebbe così piccola che esso non potrebbe espandersi con il ritmo che osserviamo oggi”.

La tesi di Koushiappas e Geringer-Sameth è suffragata da evidenze sperimentali: i due, infatti, si sono avvalsi dei dati raccolti dal Fermi Gamma-ray Space Telescope, della NASA, sull’emissione di raggi gamma da parte di sette galassie nane satelliti della Via Lattea. L’elaborazione di questi dati è poi merito di Geringer-Sameth, che ha costruito un innovativo modello statistico per analizzarli. Inoltre il team del Fermi Large Area Telescope è arrivato indipendentemente a un risultato analogo.

Perché i raggi gamma? Perché sono l’unica cosa che riguardi la materia oscura che possiamo vedere davvero. Difatti sappiamo che, come nella materia osservabile, anche nella materia oscura devono esistere particelle e antiparticelle. Il processo attraverso cui materia e antimateria si annientano a vicenda, convertendosi in energia, va sotto il nome di annichilazione. L’energia liberata ha diverse forme (calore, luce eccetera): nel caso della materia oscura, i prodotti dell’annichilazione sono quark e leptoni. I quark e gli antiquark a loro volta si annichilano, producendo fotoni. La radiazione gamma è il miglior indicatore del numero di fotoni presenti in una certa regione di spazio.

Risalendo la catena al contrario, i due scienziati hanno ricostruito il tasso di annichilazione delle particelle di materia oscura all’interno delle sette galassie (particolarmente “pulite” per quanto riguarda il segnale, perché povere di materia non oscura) e, di conseguenza, hanno fornito una stima dal basso per la massa delle particelle collidenti.

Può sembrarci una scoperta priva di interesse pratico. Ma è bene osservare una cosa: energia e materia oscura costituiscono più del 95 per cento dell’universo conosciuto. Di loro si sa poco o nulla, perché le osservazioni avvengono solo in maniera indiretta (in particolare attraverso i loro effetti gravitazionali). Anche un minuscolo indizio sul loro conto potrebbe, in un futuro prossimo, rivelarsi una potentissima arma per la conoscenza della realtà: uno scopo a cui è votata l’intera comunità scientifica. Un’arma? Forse intellettuale. Ricordiamo sempre che stiamo parlando di cose che non potremo mai vedere.

Alex Geringer-Sameth, & Savvas M. Koushiappas (2011). Exclusion of canonical WIMPs by the joint analysis of Milky Way dwarfs with Fermi arXiv arXiv: 1108.2914v2

domenica 20 novembre 2011

LHC, prima macchina del tempo?

LHC, prima macchina del tempo?:


Potrebbe produrre bizzarre particelle in grado di percorrere "scorciatoie" attraverso le dimensioni extra dello spazio-tempo ipotizzate da alcune teorie cosmologiche...

Un teorema scuote i fondamenti della teoria dei quanti

Un teorema scuote i fondamenti della teoria dei quanti:


In un articolo definito "sismico" per il possibile impatto sulla meccanica quantistica, tre ricercatori mostrano che la funzione d’onda - sulla cui interpretazione i fisici ...

venerdì 18 novembre 2011

Prima conferma sulla velocità dei neutrini: il comunicato dell'INFN

Prima conferma sulla velocità dei neutrini: il comunicato dell'INFN:


Una nuova misura più accurata conferma i risultati sui neutrini superluminali escludendo una parte dei possibili errori dei test precedenti, ma per la prova definitiva servono altri ...

Neutrino e antineutrino: minore del previsto la differenza delle masse

Neutrino e antineutrino: minore del previsto la differenza delle masse:


Prende corpo l’ipotesi che i dati dell’anno passati fossero affetti da errori di rivelazione o di calcolo...

Neutrini: l'oscillazione è confermata dall'esperimento MINOS

Neutrini: l'oscillazione è confermata dall'esperimento MINOS:


L’esperimento MINOS in particolare ha registrato un totale di 62 eventi di trasformazione: se il processo non si verificasse, gli eventi osservati dovrebbero essere al massimo 49...

Il sapore mutevole dei neutrini

Il sapore mutevole dei neutrini:


I ricercatori parlano di indizi e non di scoperta perché il terremoto che ha colpito il Giappone il 11 marzo 2011 ha costretto a sospendere l'esperimento per i danni all'acceleratore ...

giovedì 17 novembre 2011

E luce fu (dal vuoto)
da Galileo di Galileo (Giornale di Scienza)
Una delle caratteristiche più particolari della meccanica quantistica è che secondo questa teoria il vuoto non sia realmente tale. Secondo la fisica moderna, infatti, in realtà questa condizione è piena di corpuscoli che appaiono e scompaiono molto velocemente, tanto da essere definiti "particelle virtuali". Fino a oggi della loro esistenza si avevano solo prove indirette, derivanti dagli effetti che talvolta hanno su elettroni o atomi con i quali possono interagire. Grazie a un team di ricercatori della Chalmers University of Technology di Göteborg oggi invece abbiamo prove più dirette di questo “ribollire” di materia nel vuoto. In uno studio pubblicato su Nature, i fisici svedesi sono infatti riusciti a far uscire alcuni di questi fotoni dalla loro condizione di virtualità, facendoli diventare reali. Ovvero, trasformandoli in luce.
Il primo ad aver teorizzato la possibilità di estrarre particelle virtuali dal vuoto fu il fisico Gerald Moore, che nel 1970 ebbe un’intuizione particolare. Secondo lo scienziato, se i corpuscoli avessero colpito uno specchio dal moto oscillatorio abbastanza rapido – ovvero con una velocità vicina, o almeno paragonabile, a quella della luce – la materia avrebbe potuto usare l’energia (cinetica) dissipata nel movimento per uscire dalla condizione di fluttuazione tra esistente e non esistente, diventando finalmente misurabile. Questo processo si chiama effetto Casimir dinamico e il suo problema sperimentale è che portare uno specchio a oscillare avanti e indietro con una velocità prossima a quella della luce è molto complicato.
Per superare questa difficoltà, gli scienziati di Göteborg hanno messo a punto un metodo ingegnoso. “Poiché non potevamo pensare di portare uno specchio a muoversi con così tanta rapidità, abbiamo pensato di riprodurre la condizione necessaria all’esperimento in un altro modo”, ha spiegato Per Delsing, docente di fisica sperimentale alla Chalmers che ha preso parte alla ricerca. “Invece di alterare la posizione fisica di uno specchio, abbiamo riprodotto lo spostamento tramite la variazione del campo elettromagnetico in un cortocircuito, un circuito chiuso che ha resistenza nulla e che si comporta come uno specchio, ma solo per le microonde”.
A dispetto del nome poco intuitivo dello strumento usato, Superconductive quantum interference device (Squid), il principio fisico che è alla base dell’esperimento è piuttosto semplice. A simulare il movimento dello specchio ci pensa infatti questo apparecchio particolarmente sensibile alle variazioni del campo magnetico: cambiando la direzione del campo che passa attraverso il circuito è infatti possibile riprodurre l’effetto di uno specchio che si muove. Con questa tecnica uno Squid può vibrare milioni di volte al secondo, poiché non ci sono elementi meccanici (e quindi massa) a spostarsi, ma è solo il campo a cambiare direzione.
I ricercatori sono così riusciti a far “muovere lo specchio” a una velocità molto alta, circa un quarto della velocità della luce. “Il risultato – ha continuato Delsing – è stato che dei fotoni sono effettivamente comparsi dal nulla, o meglio dal vuoto. La radiazione emessa sotto forma di microonde da queste particelle era misurabile, e quindi abbiamo potuto verificare che avesse tutte le proprietà predette dalla meccanica quantistica”. Lo spettro di radiazione, per esempio, doveva corrispondere a quello teorico e le frequenze dei fotoni che compaiono a coppie, se sommate, dovevano coincidere con la frequenza di oscillazione dello Squid, in modo che non si infrangessero le leggi di conservazione dell’energia.
Un risultato in accordo con le previsioni della meccanica quantistica, dunque, ma possibile solo perché i fotoni non hanno massa. “È per questo motivo che basta poca energia per tirare fuori le particelle dalla loro condizione di virtualità. In linea di principio si potrebbe ricreare qualsiasi particella a partire dal vuoto, anche elettroni o protoni, solo che questo procedimento necessiterebbe di una quantità di energia molto maggiore”, ha concluso Delsing.
Sebbene, secondo gli scienziati, il risultato sia importante soprattutto per le sue implicazioni teoriche – che potrebbero avere a che fare anche con l’energia oscura, uno dei più grandi misteri della fisica moderna – il risultato potrebbe essere in futuro utilizzato anche nel campo dell’informazione quantistica. Per esempio per lo sviluppo di computer quantistici.
Riferimento: Nature doi: 10.1038/nature10561

martedì 1 novembre 2011

Borexino vede il motore delle stelle

Borexino vede il motore delle stelle: Ottenuta per la prima volta dall?esperimento Borexino ai Laboratori del Gran Sasso dell?INFN la prova sperimentale dell?esistenza delle principali reazioni nucleari, che alimentano e tengono in vita le stelle.
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<br> Arriva dallo studio dei neutrini solari la prova sperimentale di come funziona il motore delle stelle. L?ha ottenuta l?esperimento Borexino ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell?Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, studiando i neutrini di bassissima energia prodotti dalle fusioni nucleari nel cuore delle stelle.
<br> Secondo i modelli astrofisici attuali nel Sole e nelle stelle di dimensioni simili, la reazione nucleare dominante (nota come pp) ? la fusione di due nuclei di idrogeno, che forma un nucleo di deuterio (protone e neutrone) ed ? capace di innalzare la temperatura all?interno delle stelle fino a dieci milioni di gradi.
<br> Nelle stelle di dimensioni maggiori (almeno una volta e mezza la massa solare) la reazione pp non produce invece abbastanza energia per contrastare la forza gravitazionale della materia stellare, che farebbe implodere la stella su se stessa. A evitare il collasso ? un altro ciclo di fusione nucleare che coinvolge i nuclei di Carbonio, Azoto e Ossigeno e innalza la temperatura interna di queste stelle oltre i 18 milioni di gradi. Questo ciclo si chiama CNO e se non esistesse dovremmo immaginarci un Universo molto pi? buio e illuminato solo da piccole e rare stelle.
<br>Queste reazioni nucleari, ipotizzate gi? da lungo tempo, fino ad oggi non erano per? mai state osservate in maniera diretta.
<br> Nei giorni scorsi la collaborazione Borexino ha annunciato di avere raggiunto la prova sperimentale dell?esistenza delle reazioni ?pp? (attraverso la misura di una reazione figlia) e un limite molto stringente sull?esistenza della CNO, con misure in accordo con le previsioni del Modello Solare.
<br>Come ? stato possibile?
<br> La fusione nucleare nelle stelle produce una grande quantit? di neutrini a bassissima energia che in parte raggiungono la Terra. Questi neutrini sono anche pi? difficili da rivelare e osservare di quelli di energia pi? elevata e Borexino, posto nelle caverne sotterranee dei Laboratori del Gran Sasso, ? oggi l?unico esperimento al mondo in grado di misurarli in tempo reale. La copertura della roccia del Gran Sasso (circa 1400 m sotto la montagna) infatti assorbe i raggi cosmici, mentre le tecnologie sviluppate dall?esperimento permettono di sopprimere le tracce di radioattivit? a livelli mai ottenuti fino ad oggi. E? possibile cos? schermare l?esperimento e far emergere i deboli segnali prodotti dai rarissimi urti dei neutrini con la grande massa di materiale del rivelatore.
<br>Grazie alle sue caratteristiche uniche il rivelatore Borexino aveva gi? ottenuto in passato la prova sperimentale dell?esistenza di reazioni minori che avvengono nel Sole e la prima reale evidenza dei neutrini provenienti dall?interno della Terra.
<br>La collaborazione Borexino ? una collaborazione internazionale fra tre gruppi dell?INFN, tre Universit? statunitensi, e altri gruppi tedeschi, russi, francesi, polacchi. I gruppi dell? INFN, insieme a quello di Princeton, hanno un ruolo predominante. Il coordinatore (?spokesman?) della collaborazione ? il Prof. Gianpaolo Bellini dell?Universit? di Milano e dell?Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Per saperne di pi?:

Come ? fatto Borexino
<br>L?esperimento, a cui lavorano circa 100 persone tra fisici, ingegneri e tecnici, ha avuto come maggiore finanziatore l?INFN con importanti contributi da Stati Uniti, Germania, Francia e Russia.
<br>All?esperimento prendono parte le sezioni INFN e le Universit? di Milano, Genova, Perugia, i Laboratori del Gran Sasso, la Technische Universitat di Monaco, il Max Planck Institut di Heidelberg, l?APC francese, la Jagellonian University di Cracovia, il JINR di Dubna e il Kurchatov Institute di Mosca e infine gli statunitensi della Princeton University e del Virginia Polytechnical Institute.
<br>Borexino continuer? la sua presa dati per almeno 10 anni, la durata di un ciclo della vita solare.
<br>L?esperimento visto dall?esterno appare come una cupola di sedici metri di diametro al cui interno si trova una sorta di ?matrioska?, una di quelle bambole russe che entrano l?una nell?altra. Dentro la cupola vi ? una massa di 2.100 tonnellate di acqua che serve come primo schermo per le emissioni radioattive delle rocce e dell?ambiente, e come rivelatore per i pochissimi residui di raggi cosmici che attraversano le migliaia di metri di roccia sotto le quali si trova il Laboratorio.
<br>All? interno del volume dell? acqua si trova una sfera di acciaio che contiene, nella parte interna 2.200 fotomoltiplicatori, cio? apparati che possono registrare la presenza di lampi di luce provocati dai neutrini. Questa sfera contiene mille tonnellate di pseudocumene, un idrocarburo, utilizzato per schermare la parte sensibile dell? esperimento.
<br>Infine, il cuore ultimo di Borexino contiene, dentro una sfera di nylon 300 tonnellate di liquido scintillante. L?acqua e l?idrocarburo di schermo nonch? lo scintillatore posseggono una radiopurezza mai ottenuta finora a livelli cos? bassi.
<br>Il funzionamento assomiglia a quello di un vecchio flipper: quando i neutrini si scontrano con gli elettroni dello scintillatore trasferiscono loro parte dell?energia incidente, provocando un lampo luminoso nel liquido. Questi lampi vengono visti dai fotomoltiplicatori grazie alla trasparenza delle sfere interne. L?apparato consente di misurare l?energia e la posizione degli urti provocati dai neutrini incidenti.
<br>
<br>L?apparato CTF per la misura della radioattivit?
<br>
<br>Per essere sicuri di non essere disturbati nelle osservazioni di particelle cos? sfuggenti come i deboli neutrini sotto 1 MeV di energia, i ricercatori hanno dovuto assicurarsi che la radioattivit? naturale dei materiali impiegati per la costruzione del rivelatore fosse ridotta fino a livelli ?innaturali?. Cio? una radioattivit? molto pi? bassa di quella normalmente esistente in natura.
<br>I ricercatori hanno sviluppato nuove tecnologie con una ricerca di pi? di 8 anni per garantirsi queste prestazioni. Cos? hanno selezionato i materiali pi? rispondenti a queste caratteristiche, quindi hanno purificato i liquidi e i gas dai residui radioattivi. I risultati raggiunti sono straordinari: si ? arrivati ad avere per ogni grammo di sostanza utilizzata una presenza radioattiva pari a 0,000000000000000001 cio? zero virgola 17 volte zero. L?azoto utilizzato nell?esperimento ha un?emissione radioattiva di circa 1 miliardo di volte inferiore rispetto all?azoto reperibile in natura.
<br>Per misurare conteggi cos? estremamente bassi, ? stato costruito un apparato di test chiamato CTF (Counting Test Facility) contenente mille tonnellate di acqua purissima pi? cinque tonnellate di liquido rivelatore.
<br>Al mondo non esiste nessun altro rivelatore di queste dimensioni con un?analoga sensibilit? nella misura della radioattivit?. Aver raggiunto questa purezza e poterla misurare ? un successo tecnologico che potr? essere adottato dalle industrie che richiedono sostanze particolarmente pure, come quella farmaceutica o dei materiali.
VECCHI POST
http://www.google.com/reader/shared/12808545175990991948