lunedì 28 novembre 2011

La mia grossa grassa materia oscura

La mia grossa grassa materia oscura:
Fornita una stima per la massa minima delle particelle invisibili
di Tobia Dondé
Non sappiamo che cos’è, ma c’è. E ce n’è tanta. Non sappiamo misurarla, ma pesa. E pesa tanto. Lo accerta una coppia di fisici della Brown University, Savvas Koushiappas e Alex Geringer-Sameth, in un articolo che uscirà a breve su “Physical Review Letters”: le particelle di materia oscura sono assai più massicce di quanto si credeva finora.


E' solo una simulazione, di solito la materia oscura non si fa vedere. (Cortesia: Max Planck Institute for Astrophysics)



Non stiamo parlando di bazzecole: siamo nell’ordine dei 40 GigaelettronVolt (GeV), più di 40 volte il peso di un protone. E la cosa sconcertante è che nessuna particella di materia oscura può avere massa inferiore a questa soglia. Precedenti illustri collaborazioni, come DAMA/LIBRA, CoGeNT e CRESST, avevano ottenuto, tramite esperimenti di laboratorio, una stima nell’ordine di 7-12 GeV. Le osservazioni dei due fisici della Brown sembrano smentire tutto ciò. “Se la massa di una particella di materia oscura fosse minore di 40 GeV”, afferma Koushiappas, “la sua quantità nell’universo sarebbe così piccola che esso non potrebbe espandersi con il ritmo che osserviamo oggi”.

La tesi di Koushiappas e Geringer-Sameth è suffragata da evidenze sperimentali: i due, infatti, si sono avvalsi dei dati raccolti dal Fermi Gamma-ray Space Telescope, della NASA, sull’emissione di raggi gamma da parte di sette galassie nane satelliti della Via Lattea. L’elaborazione di questi dati è poi merito di Geringer-Sameth, che ha costruito un innovativo modello statistico per analizzarli. Inoltre il team del Fermi Large Area Telescope è arrivato indipendentemente a un risultato analogo.

Perché i raggi gamma? Perché sono l’unica cosa che riguardi la materia oscura che possiamo vedere davvero. Difatti sappiamo che, come nella materia osservabile, anche nella materia oscura devono esistere particelle e antiparticelle. Il processo attraverso cui materia e antimateria si annientano a vicenda, convertendosi in energia, va sotto il nome di annichilazione. L’energia liberata ha diverse forme (calore, luce eccetera): nel caso della materia oscura, i prodotti dell’annichilazione sono quark e leptoni. I quark e gli antiquark a loro volta si annichilano, producendo fotoni. La radiazione gamma è il miglior indicatore del numero di fotoni presenti in una certa regione di spazio.

Risalendo la catena al contrario, i due scienziati hanno ricostruito il tasso di annichilazione delle particelle di materia oscura all’interno delle sette galassie (particolarmente “pulite” per quanto riguarda il segnale, perché povere di materia non oscura) e, di conseguenza, hanno fornito una stima dal basso per la massa delle particelle collidenti.

Può sembrarci una scoperta priva di interesse pratico. Ma è bene osservare una cosa: energia e materia oscura costituiscono più del 95 per cento dell’universo conosciuto. Di loro si sa poco o nulla, perché le osservazioni avvengono solo in maniera indiretta (in particolare attraverso i loro effetti gravitazionali). Anche un minuscolo indizio sul loro conto potrebbe, in un futuro prossimo, rivelarsi una potentissima arma per la conoscenza della realtà: uno scopo a cui è votata l’intera comunità scientifica. Un’arma? Forse intellettuale. Ricordiamo sempre che stiamo parlando di cose che non potremo mai vedere.

Alex Geringer-Sameth, & Savvas M. Koushiappas (2011). Exclusion of canonical WIMPs by the joint analysis of Milky Way dwarfs with Fermi arXiv arXiv: 1108.2914v2

domenica 20 novembre 2011

LHC, prima macchina del tempo?

LHC, prima macchina del tempo?:


Potrebbe produrre bizzarre particelle in grado di percorrere "scorciatoie" attraverso le dimensioni extra dello spazio-tempo ipotizzate da alcune teorie cosmologiche...

Un teorema scuote i fondamenti della teoria dei quanti

Un teorema scuote i fondamenti della teoria dei quanti:


In un articolo definito "sismico" per il possibile impatto sulla meccanica quantistica, tre ricercatori mostrano che la funzione d’onda - sulla cui interpretazione i fisici ...

venerdì 18 novembre 2011

Prima conferma sulla velocità dei neutrini: il comunicato dell'INFN

Prima conferma sulla velocità dei neutrini: il comunicato dell'INFN:


Una nuova misura più accurata conferma i risultati sui neutrini superluminali escludendo una parte dei possibili errori dei test precedenti, ma per la prova definitiva servono altri ...

Neutrino e antineutrino: minore del previsto la differenza delle masse

Neutrino e antineutrino: minore del previsto la differenza delle masse:


Prende corpo l’ipotesi che i dati dell’anno passati fossero affetti da errori di rivelazione o di calcolo...

Neutrini: l'oscillazione è confermata dall'esperimento MINOS

Neutrini: l'oscillazione è confermata dall'esperimento MINOS:


L’esperimento MINOS in particolare ha registrato un totale di 62 eventi di trasformazione: se il processo non si verificasse, gli eventi osservati dovrebbero essere al massimo 49...

Il sapore mutevole dei neutrini

Il sapore mutevole dei neutrini:


I ricercatori parlano di indizi e non di scoperta perché il terremoto che ha colpito il Giappone il 11 marzo 2011 ha costretto a sospendere l'esperimento per i danni all'acceleratore ...

giovedì 17 novembre 2011

E luce fu (dal vuoto)
da Galileo di Galileo (Giornale di Scienza)
Una delle caratteristiche più particolari della meccanica quantistica è che secondo questa teoria il vuoto non sia realmente tale. Secondo la fisica moderna, infatti, in realtà questa condizione è piena di corpuscoli che appaiono e scompaiono molto velocemente, tanto da essere definiti "particelle virtuali". Fino a oggi della loro esistenza si avevano solo prove indirette, derivanti dagli effetti che talvolta hanno su elettroni o atomi con i quali possono interagire. Grazie a un team di ricercatori della Chalmers University of Technology di Göteborg oggi invece abbiamo prove più dirette di questo “ribollire” di materia nel vuoto. In uno studio pubblicato su Nature, i fisici svedesi sono infatti riusciti a far uscire alcuni di questi fotoni dalla loro condizione di virtualità, facendoli diventare reali. Ovvero, trasformandoli in luce.
Il primo ad aver teorizzato la possibilità di estrarre particelle virtuali dal vuoto fu il fisico Gerald Moore, che nel 1970 ebbe un’intuizione particolare. Secondo lo scienziato, se i corpuscoli avessero colpito uno specchio dal moto oscillatorio abbastanza rapido – ovvero con una velocità vicina, o almeno paragonabile, a quella della luce – la materia avrebbe potuto usare l’energia (cinetica) dissipata nel movimento per uscire dalla condizione di fluttuazione tra esistente e non esistente, diventando finalmente misurabile. Questo processo si chiama effetto Casimir dinamico e il suo problema sperimentale è che portare uno specchio a oscillare avanti e indietro con una velocità prossima a quella della luce è molto complicato.
Per superare questa difficoltà, gli scienziati di Göteborg hanno messo a punto un metodo ingegnoso. “Poiché non potevamo pensare di portare uno specchio a muoversi con così tanta rapidità, abbiamo pensato di riprodurre la condizione necessaria all’esperimento in un altro modo”, ha spiegato Per Delsing, docente di fisica sperimentale alla Chalmers che ha preso parte alla ricerca. “Invece di alterare la posizione fisica di uno specchio, abbiamo riprodotto lo spostamento tramite la variazione del campo elettromagnetico in un cortocircuito, un circuito chiuso che ha resistenza nulla e che si comporta come uno specchio, ma solo per le microonde”.
A dispetto del nome poco intuitivo dello strumento usato, Superconductive quantum interference device (Squid), il principio fisico che è alla base dell’esperimento è piuttosto semplice. A simulare il movimento dello specchio ci pensa infatti questo apparecchio particolarmente sensibile alle variazioni del campo magnetico: cambiando la direzione del campo che passa attraverso il circuito è infatti possibile riprodurre l’effetto di uno specchio che si muove. Con questa tecnica uno Squid può vibrare milioni di volte al secondo, poiché non ci sono elementi meccanici (e quindi massa) a spostarsi, ma è solo il campo a cambiare direzione.
I ricercatori sono così riusciti a far “muovere lo specchio” a una velocità molto alta, circa un quarto della velocità della luce. “Il risultato – ha continuato Delsing – è stato che dei fotoni sono effettivamente comparsi dal nulla, o meglio dal vuoto. La radiazione emessa sotto forma di microonde da queste particelle era misurabile, e quindi abbiamo potuto verificare che avesse tutte le proprietà predette dalla meccanica quantistica”. Lo spettro di radiazione, per esempio, doveva corrispondere a quello teorico e le frequenze dei fotoni che compaiono a coppie, se sommate, dovevano coincidere con la frequenza di oscillazione dello Squid, in modo che non si infrangessero le leggi di conservazione dell’energia.
Un risultato in accordo con le previsioni della meccanica quantistica, dunque, ma possibile solo perché i fotoni non hanno massa. “È per questo motivo che basta poca energia per tirare fuori le particelle dalla loro condizione di virtualità. In linea di principio si potrebbe ricreare qualsiasi particella a partire dal vuoto, anche elettroni o protoni, solo che questo procedimento necessiterebbe di una quantità di energia molto maggiore”, ha concluso Delsing.
Sebbene, secondo gli scienziati, il risultato sia importante soprattutto per le sue implicazioni teoriche – che potrebbero avere a che fare anche con l’energia oscura, uno dei più grandi misteri della fisica moderna – il risultato potrebbe essere in futuro utilizzato anche nel campo dell’informazione quantistica. Per esempio per lo sviluppo di computer quantistici.
Riferimento: Nature doi: 10.1038/nature10561

martedì 1 novembre 2011

Borexino vede il motore delle stelle

Borexino vede il motore delle stelle: Ottenuta per la prima volta dall?esperimento Borexino ai Laboratori del Gran Sasso dell?INFN la prova sperimentale dell?esistenza delle principali reazioni nucleari, che alimentano e tengono in vita le stelle.
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<br> Arriva dallo studio dei neutrini solari la prova sperimentale di come funziona il motore delle stelle. L?ha ottenuta l?esperimento Borexino ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell?Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, studiando i neutrini di bassissima energia prodotti dalle fusioni nucleari nel cuore delle stelle.
<br> Secondo i modelli astrofisici attuali nel Sole e nelle stelle di dimensioni simili, la reazione nucleare dominante (nota come pp) ? la fusione di due nuclei di idrogeno, che forma un nucleo di deuterio (protone e neutrone) ed ? capace di innalzare la temperatura all?interno delle stelle fino a dieci milioni di gradi.
<br> Nelle stelle di dimensioni maggiori (almeno una volta e mezza la massa solare) la reazione pp non produce invece abbastanza energia per contrastare la forza gravitazionale della materia stellare, che farebbe implodere la stella su se stessa. A evitare il collasso ? un altro ciclo di fusione nucleare che coinvolge i nuclei di Carbonio, Azoto e Ossigeno e innalza la temperatura interna di queste stelle oltre i 18 milioni di gradi. Questo ciclo si chiama CNO e se non esistesse dovremmo immaginarci un Universo molto pi? buio e illuminato solo da piccole e rare stelle.
<br>Queste reazioni nucleari, ipotizzate gi? da lungo tempo, fino ad oggi non erano per? mai state osservate in maniera diretta.
<br> Nei giorni scorsi la collaborazione Borexino ha annunciato di avere raggiunto la prova sperimentale dell?esistenza delle reazioni ?pp? (attraverso la misura di una reazione figlia) e un limite molto stringente sull?esistenza della CNO, con misure in accordo con le previsioni del Modello Solare.
<br>Come ? stato possibile?
<br> La fusione nucleare nelle stelle produce una grande quantit? di neutrini a bassissima energia che in parte raggiungono la Terra. Questi neutrini sono anche pi? difficili da rivelare e osservare di quelli di energia pi? elevata e Borexino, posto nelle caverne sotterranee dei Laboratori del Gran Sasso, ? oggi l?unico esperimento al mondo in grado di misurarli in tempo reale. La copertura della roccia del Gran Sasso (circa 1400 m sotto la montagna) infatti assorbe i raggi cosmici, mentre le tecnologie sviluppate dall?esperimento permettono di sopprimere le tracce di radioattivit? a livelli mai ottenuti fino ad oggi. E? possibile cos? schermare l?esperimento e far emergere i deboli segnali prodotti dai rarissimi urti dei neutrini con la grande massa di materiale del rivelatore.
<br>Grazie alle sue caratteristiche uniche il rivelatore Borexino aveva gi? ottenuto in passato la prova sperimentale dell?esistenza di reazioni minori che avvengono nel Sole e la prima reale evidenza dei neutrini provenienti dall?interno della Terra.
<br>La collaborazione Borexino ? una collaborazione internazionale fra tre gruppi dell?INFN, tre Universit? statunitensi, e altri gruppi tedeschi, russi, francesi, polacchi. I gruppi dell? INFN, insieme a quello di Princeton, hanno un ruolo predominante. Il coordinatore (?spokesman?) della collaborazione ? il Prof. Gianpaolo Bellini dell?Universit? di Milano e dell?Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Per saperne di pi?:

Come ? fatto Borexino
<br>L?esperimento, a cui lavorano circa 100 persone tra fisici, ingegneri e tecnici, ha avuto come maggiore finanziatore l?INFN con importanti contributi da Stati Uniti, Germania, Francia e Russia.
<br>All?esperimento prendono parte le sezioni INFN e le Universit? di Milano, Genova, Perugia, i Laboratori del Gran Sasso, la Technische Universitat di Monaco, il Max Planck Institut di Heidelberg, l?APC francese, la Jagellonian University di Cracovia, il JINR di Dubna e il Kurchatov Institute di Mosca e infine gli statunitensi della Princeton University e del Virginia Polytechnical Institute.
<br>Borexino continuer? la sua presa dati per almeno 10 anni, la durata di un ciclo della vita solare.
<br>L?esperimento visto dall?esterno appare come una cupola di sedici metri di diametro al cui interno si trova una sorta di ?matrioska?, una di quelle bambole russe che entrano l?una nell?altra. Dentro la cupola vi ? una massa di 2.100 tonnellate di acqua che serve come primo schermo per le emissioni radioattive delle rocce e dell?ambiente, e come rivelatore per i pochissimi residui di raggi cosmici che attraversano le migliaia di metri di roccia sotto le quali si trova il Laboratorio.
<br>All? interno del volume dell? acqua si trova una sfera di acciaio che contiene, nella parte interna 2.200 fotomoltiplicatori, cio? apparati che possono registrare la presenza di lampi di luce provocati dai neutrini. Questa sfera contiene mille tonnellate di pseudocumene, un idrocarburo, utilizzato per schermare la parte sensibile dell? esperimento.
<br>Infine, il cuore ultimo di Borexino contiene, dentro una sfera di nylon 300 tonnellate di liquido scintillante. L?acqua e l?idrocarburo di schermo nonch? lo scintillatore posseggono una radiopurezza mai ottenuta finora a livelli cos? bassi.
<br>Il funzionamento assomiglia a quello di un vecchio flipper: quando i neutrini si scontrano con gli elettroni dello scintillatore trasferiscono loro parte dell?energia incidente, provocando un lampo luminoso nel liquido. Questi lampi vengono visti dai fotomoltiplicatori grazie alla trasparenza delle sfere interne. L?apparato consente di misurare l?energia e la posizione degli urti provocati dai neutrini incidenti.
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<br>L?apparato CTF per la misura della radioattivit?
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<br>Per essere sicuri di non essere disturbati nelle osservazioni di particelle cos? sfuggenti come i deboli neutrini sotto 1 MeV di energia, i ricercatori hanno dovuto assicurarsi che la radioattivit? naturale dei materiali impiegati per la costruzione del rivelatore fosse ridotta fino a livelli ?innaturali?. Cio? una radioattivit? molto pi? bassa di quella normalmente esistente in natura.
<br>I ricercatori hanno sviluppato nuove tecnologie con una ricerca di pi? di 8 anni per garantirsi queste prestazioni. Cos? hanno selezionato i materiali pi? rispondenti a queste caratteristiche, quindi hanno purificato i liquidi e i gas dai residui radioattivi. I risultati raggiunti sono straordinari: si ? arrivati ad avere per ogni grammo di sostanza utilizzata una presenza radioattiva pari a 0,000000000000000001 cio? zero virgola 17 volte zero. L?azoto utilizzato nell?esperimento ha un?emissione radioattiva di circa 1 miliardo di volte inferiore rispetto all?azoto reperibile in natura.
<br>Per misurare conteggi cos? estremamente bassi, ? stato costruito un apparato di test chiamato CTF (Counting Test Facility) contenente mille tonnellate di acqua purissima pi? cinque tonnellate di liquido rivelatore.
<br>Al mondo non esiste nessun altro rivelatore di queste dimensioni con un?analoga sensibilit? nella misura della radioattivit?. Aver raggiunto questa purezza e poterla misurare ? un successo tecnologico che potr? essere adottato dalle industrie che richiedono sostanze particolarmente pure, come quella farmaceutica o dei materiali.
VECCHI POST
http://www.google.com/reader/shared/12808545175990991948